Non è certo con rassegnazione che mi avvicino al problema
dei tanti giovani, alcuni dei quali non più ragazzi,offuscati dal non
far niente, dall’ ozio, deterrente incisivo per la perdita di
obiettivi. Mi riferisco a un’area” protetta” da molti, la quale
degenera, nell’indifferenza di chi dovrebbe sorvegliare, il cui nome
più appropriato sembra essere: IL BULLISMO.
Non passa inosservato ne ai miei occhi, ne ai miei studi, alle mie
ricerche, tenendo sempre a mente le devastanti conseguenze dello
stesso.
I miei appelli, oserei definirli disperati, sono sempre passati dalla
porta secondaria.
Ed è con un senso di fallimento che mi appresto a scrivere ciò che
quotidianamente viene tracciato del bullismo. Un quadro disperato
e patologico, una rappresentazione sociale negativa di questa fascia
di età che si ritorce inevitabilmente contro i giovani stessi.
Gli accadimenti delle ultime settimane,
hanno delineato una situazione catastrofica, situazioni “inumane”, che
non possono non essere motivo non di discriminazione sociale, ma di
attenzione, di riflessione, di impotenza e superficialità sin’ ora .
Noi pensiamo , paradossalmente, che ad intervenire devono essere le
Istituzioni, fuor di dubbio, ma sempre in secondo piano. Chi è
titolato a regolamentare gesti, situazioni è solo e unicamente la
famiglia.Questo non è solo una necessità, ma deve essere una presa
d’atto, una presa di coscienza. Fondamentale per il recupero.
Ogni adulto dovrebbe essere in grado di comprendere le necessità
biologiche dell’adolescenza e rispettarle.
I giovani, non sono altro che il prodotto più rappresentativo del
mondo adulto; è il distillato finale di tutte le paure, le incoerenze,
i disagi, le tensioni,
l’aggressività, la superficialità, le debolezze, l’egoismo di uomini
che li hanno preceduti e che offrono loro costanti modelli di
riferimento e gesta da imitare.
Per quanto strano possa apparire, la loro è una simbolica richiesta di
aiuto, sottovalutata.
I giovani d’oggi sono il più alto riferimento di una generazione che
porta come vessillo il fallimento. Loro soffrono del disagio
generalizzato, dell’inserimento in contesti di vita in cui tutto
appare banale e secondario.
Manca il ruolo primario.
Manca il riferimento. Manca la guida. Ma vogliamo finalmente
svegliarci e fare un autoanalisi? Vogliamo fare il mea culpa?
Vogliamo veramente trovare tutti insieme, una soluzione non temporanea?
I giovani non sono in grado di affrontare ne superare “ l’alta marea”.
Hanno bisogno di aiuto, di esser presi per mano.
Siamo in grado di parlare di affettività e capire quanto questa sia
educabile? Siamo in grado di promuovere una “cultura” del tempo
libero, inteso come crescita che attraversa ponti e mari e si dirige
verso l’inequivocabile strumento, propositivo, che è la stima di sé
stessi.(io sono, io mi
relaziono, e soprattutto: io valgo).
Anteporre gli impegni alle loro richieste, alle richieste di affetto.
Avere tempo per comunicare, per esprimere le emozioni, per capire e
farsi capire, per Ascoltare senza invadere.
Siamo disposti a trovare questo TEMPO?
In questa ampia disquisizione non si vuole semplicemente fare un
processo ad uno stile di vita, ma si vuole fare appello a tutte
quelle componenti che danneggiano una società civile che deve
crescere, formarsi, specializzarsi.
Quando si parla di stile di vita, vuol dire partire dal se.
Ed è verso quest’ottica che si può parlare di incontro.
Mi piacerebbe poterlo fare con i giovani.
A loro va tutta la mia comprensione, il mio affetto.
Mi piacerebbe tendere loro una mano. Mi piacerebbe, pur non
ritenendomi una paladina della giustizia, portare questo mio pensiero
a conoscenza di tutti, affinchè uno stringersi l’ un con l’altro
possa unire una mano che si trova in difficoltà, ascoltare un pianto
da troppo tempo eluso.
Chiedo alle istituzioni di dare maggiore apporto ai giovani, dando
loro delle responsabilità, rendendoli capaci, aiutarli con ruoli ed
impegno. Riconoscerli capaci.
Hanno bisogno di trovare la strada, ed hanno tutti i requisiti per
farcela. Ma dare loro una mano significa anche fare delle scelte
impopolari, forti, drastiche, dove una maggiore sorveglianza, possa
essere il volano per una soluzione immediata e proficua.
Comprendo bene e desidero far comprendere anche a chi legge, che lo
step primario è quello di capirlo attraverso la rabbia ed il disagio
che vige, senza preclusioni di sorta in ognuno.
Sappiamo che i media e gli stereotipi sono un accumulo di stress,
perchè portano l’individuo ad arrestare il proprio io, di fronte a una
richiesta dell’immagine conforme al desiderio sociale.
Da meno non deve mancare l’obiettività e la consapevolezza,
l’acquisizione della ” colpa”, del nucleo familiare assente, della
genitorialità rivolta al pressapochismo.
E’ un fenomeno sociale di indubbio riguardo, scevro da critiche verso
l’altro, considerato che in ogni famiglia, o quasi( allarmante
questo), i problemi sono univoci.
Mancano le decisioni univoche, mancano le considerazioni rivolte
all’altro. Manca la considerazione del no che ha più forza di un si ed
anche se non seduce o ammalia, porta a risultati più vantaggiosi.
Manca la presenza tramutata in assenza.
Effettuare i controlli nei vari locali, con delle ordinanze severe che
vietino a coloro di età inferiore ai sedici anni, l’uso e l’abuso di
alcol. Fare restrizioni e sanzioni verso l’ uso eccessivo e reiterato
della richiesta di un bicchiere, due, tre, quattro, cinque bicchieri
di troppo.Questo è già un inizio. In accordo con tutti i gestori, si
potrebbero attuare linee di intervento, come ad esempio ad ogni
frequentatore, ossia cliente, dare delle tessere, con le quali possono
accedere al consumo che, non deve essere superiore a due unità
giornaliere.
Sono misure forti, ma diventano misure cautelari.
Sentiamo e leggiamo tante belle parole, ma i fatti sono davvero quello
che contano. Non vi è nessun esempio concreto che tenga i giovani
lontano dall’alcol, né ci sono stati davvero, a tutt’oggi, programmi
di intervento e di prevenzione per l’alcol e droghe;
sembra che ancora non sia chiara l’emergenza che invece gli addetti ai
lavori già segnalano da tempo.
Bisogna intervenire, oggi, con tempestività e autorevolezza, perché il
rischio è alto.
Qualcuno potrebbe ( e chiedo venia per l’esternazione) qualche giorno
non veder più tornare a casa il proprio figlio, non vederlo tornare
per un decesso avvenuto causa sbornia o pestaggio, di fronte alle risa
ed alle riprese sconsiderate dei più. Perchè quelle riprese possono
essere fatte a chiunque. Tutti possono trovarsi sotto le grinfie del
branco. Tutti possono essere branco, tutti possono ahimè, è triste
anche solo pensarlo, passare a miglior vita. Intendo dire che nessuno
può ritenersi esente da questo orrido fenomeno. Ed il dado è tratto.
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